Gli antenati di Cosa nostra

Che lo sviluppo della mafia come organizzazione centralizzata fosse connesso in modo articolato alla creazione del nuovo Stato unitario italiano è tesi ben nota e ampiamente dibattuta, non solo nella saggistica specializzata ma anche in campo letterario (basti pensare al Gattopardo).

Nello studio di questa complessa relazione sorgono tuttavia non pochi problemi genealogici che finiscono per somigliare all’annosa querelle dell’uovo e della gallina. Un tentativo molto lucido, anche se basato su un esempio circoscritto ma emblematico, di mettere ordine in questa intricata questione è quello condotto da Amelia Crisantino (già autrice di Capire la mafia del 1994 e vincitrice del premio Arcidonna “La Luna” nel 1990 con Cercando Palermo) sul caso della famigerata associazione degli stuppagghieri di Monreale, assunta come archetipo della “segreta ma operosa associazione della mafia“, come recita l’inquietante definizione coniata dal ministro Lanza nel 1871.

Da un punto di vista strettamente cronologico, la tesi della Crisantino ci propone una datazione abbastanza tarda (il processo agli stuppagghieri si celebra nel 1878), mentre la collocazione geografica individua l’origine del fenomeno nell’area immediatamente a ridosso del capoluogo regionale (Salvatore Lupo, ad esempio, apriva la sua Storia della mafia tra le miniere di zolfo del nisseno nel 1861).

Risale a Simone Corleo, d’altronde, la convinzione, espressa in maniera specifica nella relazione per l’inchiesta parlamentare del 1875, che “l’agro palermitano è un’eccezione veramente degna di studio” in cui il teorema che metteva in rapporto il mancato frazionamento della proprietà terriera con la virulenza dei fenomeni delinquenziali non trovava riscontro, presentandosi come un’anomalia in grado di sconvolgere ogni approccio scientifico non meno che l’ordine pubblico.

In questa ipotesi, che la Crisantino assume come linea portante del suo lavoro, Monreale presenta una serie di caratteristiche peculiari che ne fanno un vero e proprio “primo centro di irradiazione delle cosche mafiose“. Come la Ginevra di Calvino (e torna il riferimento all’operosità delle sette mafiose), Monreale appare come il luogo d’origine di un nuovo modus operandi in cui trova pratica attuazione un atavico rifiuto del concetto di impersonalità del diritto.

Questo primato è dovuto sia alla posizione privilegiata di Monreale come crocevia tra i latifondi dell’entroterra e i mercati urbani che, soprattutto, alla presenza di un arcivescovo, “cioè di un potere vicino ma svuotato di senso” che determina una situazione contraddittoria di latitanza del controllo centrale e di incapacità dei poteri delegati di gestire i propri privilegi (quello dell’uso dell’acqua, per esempio) senza essere scalzati da sostituti e mediatori illegali.

È un quadro che giustifica le “ambizioni da protagonista” di Monreale, ma al quale bisogna aggiungere anche il carattere nuovo della banda degli stuppagghieri rispetto alle altre sette proto mafiose, che quasi per paradosso viene conclamato dall’apostata Salvatore D’Amico. È evidente che un sostrato ideologico destinato a una così lunga durata debba per forza avere anche una storia abbastanza lunga alle sue spalle.

Tuttavia, le responsabilità del nuovo regno nell’alimentazione indiretta del fenomeno mafioso appaiono macroscopiche, sia per mera inefficienza e incompetenza, sia per l’incapacità di scegliere in maniera decisa se schierarsi dalla parte delle masse rurali o da quella delle vecchie classi dominanti.

Da qui il fallimento del modello accentratore piemontese, l’impotenza di uno Stato autoritario e sordo alle istanze più elementari del popolo dava fatalmente luogo a un circolo vizioso di lotta alla delinquenza con la delinquenza, attraverso una riconversione (da Far West) dei banditi in tutori della legge destinata a inquinare profondamente e in maniera duratura il già fragilissimo rapporto tra sudditi e istituzioni. Ovvero, citando Sciascia che ne I pugnalatori citava Boiardo: “Principio sì giolivo ben conduce”.

Amelia Crisantino, Della segreta e operosa associazione. Una setta all’origine della mafia, Sellerio, pagine 283, lire 32.000

Autore: Marcello Benfante
Fonte: la Repubblica, 2/07/2000
Immagine di copertina: chiostro del Duomo di Monreale, foto di Kurt Duschek da Pixabay

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